Intervista con Tom Corradini, che in "Gran Consiglio" esplora la sfera più intima e psicologica di uno dei personaggi più controversi della storia d'Italia.
Il tema è coinvolgente: Tom Corradini, attore con formazione da clown e autore, nello spettacolo Gran Consiglio (Mussolini), in scena sabato 17 dicembre al Teatro 34 di Piacenza.
Corradini impersona e indaga le pieghe dell'anima del grande oratore, abile ad arringare le folle che concluse la sua parabola in un ultimo atto teatrale: travestirsi da tedesco su un camion. Ne emerge uno spettacolo dai risvolti didattici, che viene portato anche nelle scuole: "Molti spettatori sono andati su Wikipedia a controllare le cose che ho detto per vedere se corrispondono alla verità", racconta l'attore.
Un ruolo non da poco. Come si è preparato a vestire i panni del Duce?
Ho fatto una ricerca storica, per un anno e mezzo. Sono stato a Predappio quattro volte. E' il ruolo più difficile: quello intimo. L'ho analizzato dal punto di vista della sua infanzia, del suo rapporto con le donne o di quello con la musica. Sa che voleva essere un violinista? Lo spettacolo comincia con lui, nel suo ufficio, che espone per alcuni minuti le tecniche che usava per dominare la folla. Aveva studiato un libro, La psicologia delle folle, di Gustave Le Bon. Poi piano piano si entra in questa specie di incubo, ovvero nel momento del suo fallimento. Per fare tutto questo ho dovuto scavare abbastanza. Ho fatto ricerche anche su spettacoli precedenti: i due di Pierfrancesco Pingitore (Operazione Quercia e Scacco al Duce) e uno sul corpo del Duce.
Che rilettura inedita c'è attorno a questa figura controversa?
E' una rilettura universale. Il primo spettacolo l'ho realizzato in inglese per un pubblico non italiano (Corradini è bilingue, ndr.). L’ho portato a Praga e poi a Brighton. In Italia è ancora un argomento delicato, mentre in Gran Bretagna è visto realmente come una figura storica, asettica, come se stessimo parlando di Napoleone. In Inghilterra sono appassionatissimi della Seconda guerra mondiale, perché l'hanno vinta. In Italia, comunque, il pubblico è molto interessato almeno dal punto di vista storico e non ideologico. E adesso sto portando lo spettacolo anche nelle scuole.
Quanti sono i giovani che vengono a vedere il suo spettacolo? E quanti di loro conoscono realmente quanto avvenne il 25 luglio?
Quanti siano i giovani non lo so, perché il range di chi finora è venuto a vederlo è over 30. Ma adesso lo farò in alcuni istituti superiori dell’Emilia Romagna. Mi sono accorto che può avere una valenza didattica, perché è neutrale, è una specie di viaggio storico intimo. E poi è anche uno spettacolo comico. E' doppiamente difficile, dato che emerge chiaramente il punto di vista di Mussolini: è lui che si racconta al pubblico. Io ho una formazione di teatro comico e fisico, e questo aiuta ad alleggerire un po' il discorso e a bilanciarlo, mantenendo la neutralità.
Se Mussolini assistesse al suo spettacolo quali sentimenti proverebbe secondo lei?
(Ride). Ma sa che me lo chiedo anch'io a volte? Secondo me sarebbe contento del fatto che chi sta sul palco sappia mostrarlo in una maniera che non è quella macchiettistica, ma ne faccia capire anche la complessità. Perché era una persona complessa: esistono tanti Mussolini, secondo me. E' stato molto ammirato fino alla guerra d'Etiopia. E infatti lo spettacolo inizia con una canzone di Cole Porter, You're the Number One, e a un certo punto nella canzone si dice: Sei il numero uno, sei come Benito Mussolini.
Gandhi stesso aveva ammirato Mussolini, anche se non ne approvava i metodi. Anche lui è stato in un certo senso una vittima della storia: è stato trascinato da eventi più grossi di lui e soprattutto ha attraversato una fase storica di enorme trasformazione. Era molto intelligente: pensi che parlava quattro lingue. Quando ho fatto la ricerca storica ho trovato degli articoli scritti da lui che sono terribilmente attuali. Fa addirittura paura leggerli, secondo me. E ai tempi non c'era la televisione, ma la radio.
Mussolini diceva: "Il cinema è l'arma più forte". Il teatro era più pericoloso?
Non ho una grande conoscenza del teatro dell'epoca. C'era il varietà, con Totò e Vittorio De Sica. Lo scontro politico penso si facesse a mezzo stampa o nelle piazze, dove tenevano comizio i politici. E per un attore di teatro questo è importante. Ma anche dai cinegiornali, si intuisce che Mussolini spesso era in mezzo alla gente e l'arte oratoria in quel periodo era fondamentale. Oggigiorno, invece, è la televisione a essere indispensabile.
Mussolini comincia arringando la folla come socialista rivoluzionario e finisce con un’arringa dal teatro Lirico a Milano nell'inverno del '44. Poi un ultimo ruolo teatrale, quando si traveste da soldato tedesco in un camion. Dice, in quel momento: "Mi fido più dei tedeschi che degli italiani". E' lo sfogo di uomo che si è sentito tradito e che ora vuole restituire questo tradimento?
Quella parte l'ho volutamente ignorata e spiego perchè: lo spettacolo narra i fatti avvenuti il 24 luglio del '43. Mussolini non sa cosa succederà dopo: racconta fino a quel momento. Finisce lo spettacolo con questo "non sapere".
La sua uscita di scena si svolge con lui che rientra per rassegnare le dimissioni. Quando fu arrestato poi tentò il suicidio, tagliandosi le vene dei polsi. Quindi era fortemente depresso. Poi fu liberato, ma poniamo che non fosse stato liberato: noi non sappiamo cosa sarebbe successo. Quindi non c'è un giudizio su Dongo. Nello spettacolo non c'è una critica all'Italia, ma alla folla.
"La folla crea, la folla distrugge". Lo sfregio finale al corpo del Duce appeso in Piazzale Loreto, dopo che proprio il corpo di Mussolini era stato quasi venerato per oltre vent'anni. Un rito pagano fortemente spettacolarizzato per cercare di rimuovere un senso di colpa collettivo?
In quel senso può darsi di sì. Nel libro di Gustave Le Bon, che è fondamentale nella formazione di Mussolini come oratore, cito l'esempio vero della folla che durante la rivoluzione francese andò nel carcere di Parigi e trucidò 60 persone, donne e bambini. Erano di origine aristocratica. Dopo che la folla ebbe trucidato queste persone, tutti se ne tornarono a casa tranquilli. Le Bon spiega che questo è tipico della folla: la folla è capace di una violenza inaudita, ma poi rimuove tutto completamente. Entra in uno stato primordiale, primitivo. E' pericolosa per questo: perché può arrivare subito alla violenza.
I fatti di piazzale Loreto - so che non è un bel parallelo - può essere considerato quasi come un evento calcistico, in cui gli ultras si avventano contro il malcapitato tifoso avversario.
Quindi secondo me quell'evento non va giudicato. Diversa è la situazione della fucilazione, che serve ad eliminare l'avversario.
Comunque di questo nello spettacolo non parlo, perché lui non sa che morirà. Anzi, uscendo gli dispiace di perdere il potere, ma pensa alla fuga. Non ha paura della morte. Vorrebbe suicidarsi.
"Governare gli italiani non è difficile, è inutile", disse Mussolini. Perché - Prima guerra mondiale a parte - non riusciamo quasi mai ad affrontare un conflitto in maniera lineare, come fanno gli altri?
Non lo so. All'interno dello spettacolo si parla della campagna di Grecia, un po' come reazione all'invasione della Francia da parte dei tedeschi. E' lì che inizia il declino, che inizia l'abbraccio mortale.
Per fare un parallelo storico, quando gli antichi romani affrontavano in guerra le popolazioni orientali (sofisticate), i conflitti erano brevissimi. Con i barbari era diverso.
Quindi forse gli italiani guerreggiano con modalità diverse da altri popoli perché c'è troppa cultura. Capiscono troppo bene quello che rischiano di perdere. Quello italiano è un popolo troppo civilizzato.
Le Bon al tempo parlava di razze (1893): latina, anglosassone... La nostra è troppo evoluta. Anche le guerre tra città, tra Firenze e Lucca o tra repubbliche marinare, erano commerciali, con poche distruzioni. E questo è stato un vantaggio. In più non siamo un paese coloniale. Lo siamo stati, ma per un tempo irrisorio. "It's Timing", si dice nel business. Il timing della nostra avventura coloniale è risultato sbagliato, perché siamo arrivati alla fine. Forse, se fossimo arrivati 150 anni prima, avrebbe potuto avere un senso.
Visto che parliamo della cultura che ci anima, che invito rivolgerebbe ai giovani per farli andare a teatro?
Il teatro ha tante sfaccettature. Può essere intrattenimento puro, ma si può anche imparare qualcosa. Questo spettacolo sicuramente è didattico. Molte persone sono andate su Wikipedia a verificare le cose che ho detto. Per il resto, siamo in un'epoca molto " televisiva". Si sta poco a contatto con le persone. Il teatro, soprattutto per me, è emozione. E' chiaro che per molto tempo è stato sottovalutato. C'è stato un intellettualismo eccessivo. Il teatro lavora con l'inconscio, con le emozioni. E' un incontro con la realtà. In un'epoca dove siamo tutti chiusi, più individualisti, può essere ancora un rito collettivo e “primordiale” da riscoprire.
Quindi, più che un consiglio ai giovani, un " Gran Consiglio”...
(Ride). Sì. Un Gran Consiglio.
Gran Consiglio (Mussolini)
Teatro 34 – Piacenza
Sabato 17 dicembre
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